S. Giuseppe – Marettimo (TP)

Data della Festa:
19 Marzo

Nella vita della comunità di Marettimo esistono varie occasioni in cui si manifesta il forte senso di appartenenza all’isola, di attaccamento alle tradizioni e alla propria cultura, e la festa religiosa dedicata a San Giuseppe ne è l’esempio più significativo. E’ impossibile, per mancanza di fonti, stabilire a quale anno risalga l’origine di questa festività, poiché la tradizione si è sempre tramandata oralmente e non esistono fonti di documentazione che possano attestarne la data di inizio.
Ma perché i marettimari hanno proclamato proprio San Giuseppe Patrono dell’isola? Sicuramente un profondo senso di religiosità li ha sempre contraddistinti fin dai tempi più remoti. Una religiosità forse poco legata, in particolare per gli uomini, agli inginocchiatoi della piccola chiesa del paese ma, sicuramente, molto sentita nella quotidianità delle loro esistenze, in passato più che adesso, improntate sui sacrifici che imponeva il loro umile mestiere di pescatori. Ecco forse proprio questo li ha avvicinati alla figura di questo Santo anch’egli uomo silenzioso ed umile nonché lavoratore integerrimo. Il primo a cui rivolgersi nelle preghiere ed il primo da ringraziare per i piccoli “miracoli quotidiani”.
I festeggiamenti in onore di San Giuseppe cominciano con la novena e, la sua immagine, oltre che in chiesa dove è rappresentato da una statua risalente all’epoca della costruzione della chiesa (fine ‘800), viene incorniciata presso moltissime famiglie nei caratteristici “Altari” realizzati con stole di tela decorate a mano e con ritagli di carta stagnola. E’ in uso esporre in questi altari oggetti simbolici come tre arance, i “panuzzi”, i “cucciddati” ed infine ceri accesi e vasi colmi di fiori color viola (violacciocche) comunemente chiamati “U barco”.
L’atmosfera di festa è già viva nel giorno della vigilia, giorno dell’arrivo della banda musicale che porta la musica per tutte le vie del paese, mentre la sera si assiste al rito della “Duminiara”: si fanno ardere tre cumuli di fascine di legna composta di arbusti raccolti sull’isola e fatti essiccare per qualche tempo. La triade dei fuochi rappresenta il simbolo religioso della Sacra Famiglia di cui San Giuseppe è il padre buono e protettivo, ma non mancano gli elementi laici come l’usanza di gettare nel fuoco centrale una vecchia barca. Intanto, tra una sonata e l’altra della banda, una voce di uomo grida: “EVVIVA U PATRIARCA DI SAN GNU-SEPPE” seguito da un coro di “VIVA”.
Ma eccoci al giorno tanto atteso, il 19 marzo. La sveglia è di buon mattino, al suono della banda musicale. Nella piccola piazza del paese è pronto un palco, adornato con ramoscelli di mirto, su cui si svolgerà, dopo il rito religioso, il tradizionale pranzo dei Santi, impersonati di anno in anno, a turno, da coloro che l’hanno promesso in “voto” come ringraziamento a San Giuseppe per avere esaudito le loro preghiere in momenti difficili o particolari della loro vita. Al termine della santa messa, davanti al portone chiuso della chiesa si celebra il rito dell'”Alloggiate” che è sicuramente il momento più commovente dell’intera manifestazione poiché, rievoca la fuga in Egitto di Maria, Gesù e Giuseppe in cerca di Ospitalità presso varie locande. I tre pellegrini si avviano per bussare simbolicamente a quella porta chiusa accompagnati da un coro di donne che intonano la seguente nenia: “Alloggiate Alloggiate i tre poveri pellegrini:/ Alloggiate Alloggiate sono stanchi i meschini./ Oh che pena, che dolore…”.
Da tanti anni ormai è sempre Giuseppe Bevilacqua, detto Peppe di Pippinedda”, attivo organizzatore dei festeggiamenti, a bussare per chiedere ospitalità per i pellegrini i quali per due volte vengono respinti con un secco: “Un c’è posto” e la porta sbattuta in faccia.La scena è molto toccante. Molti si commuovono fino alle lacrime forse perché dietro la porta chiusa ci siamo stati un po’ tutti quando abbiamo rifiutato il nostro aiuto al prossimo e ci siamo barricati dietro al muro dell’orgoglio. Finalmente al terzo tentativo dopo la frase: “Cu è?” – “Gesù, Maria e Giuseppe” le porte si spalancano per la Sacra Famiglia. Le campane suonano a festa e la folla, che aveva ascoltato tutto in religioso silenzio, esulta al grido “EVVIVA U PATRIARCA DI SAN GIUSEPPE”. Ora è il momento del pranzo dei “Santi”. Si svolge nella piazza centrale del paese su un tavolo apparecchiato con il servizio buono e pieno di fiori. Sulle sedie sono appesi i “cucciddrati”, grosse ciambelle di pane, e tutto intorno una grande quantità di cibi e dolci giunti da tutte le famiglie del paese. I Santi però non toccheranno il cibo ma verranno imboccati da tre persone che, insieme a coloro che laveranno i piatti completano lo scenario di questo pasto sacro.
I dolci caratteristici come “pignolo”, “petra mennula”, “cubbaita”, e “cassatelle”, alla fine vengono distribuiti a i presenti. Poi, al seguito dei Santi, si raggiungono i due moli dell’isola come segno propiziatorio per la stagione di pesca del “cianciolo” che inizia proprio dopo la fine delle festività.
Nel pomeriggio la statua del Santo viene trasportata per le vie del paese, si ferma porta a porta, in segno di benedizione, e raccoglie offerte e voti da tutte le famiglie.
Come spesso accade alla sacralità, sicuramente molto sentita in tutte le rappresentazioni religiose, si mescolano elementi profani come i tipici giochi locali (ioco ‘ntinna, pignateddre, cursa ‘i sacchi) o i consueti spettacoli serali. Questi aggiungono un clima di gioiosità, di voglia di stare assieme e di incontrarsi anche con coloro che, emigrati all’estero, ritornano in questa occasione. Emigrati che rivedono parenti ed amici, scambiano due chiacchiere sul molo con i pescatori, sentono l’odore del mare ed il profumo dei dolci fatti in casa: rivivono il profondo legame delle proprie origini. L’ultimo giorno di festa il 20 marzo è dedicato a San Francesco di Paola (patrono della gente di mare) altro Santo dopo San Giuseppe a cui i marettimari sono fortemente legati, per questo va in processione il giorno dopo o pure lo stesso giorno dipende come cade la festa negli anni.

Testo a cura del nostro collaboratore Bernardo Danilo Sansica

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Foto a cura di Bernardo Danilo Sansica

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