S. Sebastiano Martire – Tortorici (ME)

Data della Festa:
20 Gennaio e Domenica più vicina al 27 Gennaio

La festa più importante e più caratteristica della zona centrale dei Nebrodi è senza dubbio quella che si svolge a Tortorici in onore del Martire San SEBASTIANO.
Il culto del Santo, eletto a Patrono e Protettore di Tortorici si perde nella notte dei tempi.
Molti secoli fà infatti il Santo Patrono era San Cataldo Vescovo. Il Prof. Sebastiano Franchina, scrittore e autore di molti libri sulla storia del Paese e dei nebrodi, a pag.93 del volume I° “Tradizioni Popolari” cita un memoriale del clero della Matrice (Santa Maria) del 08/03/1644 che enumera le prerogative della Chiesa dove sono poste le Reliquie del glorioso Patrono San Sebastiano; altre citazioni sulla cappella del Santo sono addirittura antecedenti il 1607.
Il culto di San Sebastiano è fortemente radicato nella documentazione storica: a partire dal 1600 il Glorioso Bimartire San Sebastiano è Patrono principale e Protettore della vittoriosa città di Tortorici, la sua cappella era nella chiesa di Santa Maria de Platea, mentre la confraternita aveva sede nell’oratorio di San Sebastiano sito nel quartiere Spirito Santo. Il culto e la festa del Santo, tranne poche variabili, sono segnati da una continuità storica nella liturgia, almeno negli ultimi quattrocento anni. Le epoche che hanno determinato radicali cambiamenti non hanno sostanzialmente modificato il rito, segno evidente che le motivazioni del culto sono radicate e sedimentate nei sentimenti religiosi del popolo.

La festa.
La lunga festa del Santo PATRONO ha inizio il primo gennaio (e si protrae fino al 28/29) con U’ Motu, ossia l’azionamento della grande campana di 12 cantara equivalente a 4,5 tonnellate di peso, posta sul campanile della matrice, che viene suonata soltanto per i festeggiamenti patronali. Giorno 10 inizia nel Duomo la celebrazione della novena che culminerà con la coroncina e l’inno del martire, ma la festa vera e propria inizia il sabato più vicino al 13 gennaio con la fiaccolata di ampelodesmo o disi (trattasi di pianta mediterranea a stelo lungo), chiamata “Bura”. Centinaia di ragazzi, giovani e anche adulti che accompagnano figlioletti e nipotini, attraversano la via centrale del paese portando in mano i mazzetti di bura accesa, al suono di tamburi e zampogne. I mozziconi di questa vengono deposti alla fine della processione in piazza Duomo dove viene formato un’ immenso falò, sul quale i giovani più ardimentosi fanno a gara saltandovi sopra, fino al completo spegnimento.
Il giorno dopo, domenica, dopo la processione di Sant’Antonio Abate (protettore delle piante e degli animali) inizia la sfilata dell’alloro per le vie del paese. Centinaia e centinaia di alberi di alloro e di agrifoglio vengono portati a spalla in fila indiana da ciascuna borgata del paese con la sua zampogna o tamburo. Arrivati in piazza Duomo l’alloro viene benedetto da parte dell’arciprete e viene deposto, parte nei sacrati delle chiese e parte regalato a privati cittadini dove resta in mostra legato all’inferriata dei balconi fino alla fine della festa. Nel pomeriggio del 18 viene effettuata “ La Fuitina da Vara”: la vara o fercolo del Santo viene prelevato dalla matrice e per strette vie viene portato e nascosto nella chiesa del SS. Salvatore, questo per rievocare un furto perpetrato nei secoli scorsi ad opera di mellillesi o altri devoti delle reliquie del martire. La sera il Santo viene svelato dalla sua cappella e traslato all’altare maggiore tra canti e invocazioni, e al suono della grande campana viene celebrata la Santa Messa che prende il nome di “A Prova”; subito dopo viene benedetto e distribuito il pane di San Mastianu ( I Panitti) piccole forme di pane a forma di noce. Nel pomeriggio del 19, vigilia della festa, all’imbrunire, le reliquie del Santo in un prezioso scrigno d’argento cesellato viene portato in solenne processione sotto il sontuoso ed antico baldacchino, fino alla chiesa del SS. Salvatore, dove in piazza Faranda avviene l’incontro con la vara che i devoti hanno (ritrovato); da qui continua la processione che riporta in Duomo le reliquie e la vara.
Subito dopo vengono celebrati in chiesa i solenni vespri e alla fine, prima della messa solenne, l’effigie del Santo Patrono e le reliquie vengono portate in processione tra le navate della chiesa e affacciate sul sagrato per la benedizione alla città. Subito dopo vengono sparati i giochi pirotecnici.
La mattina del 20, giorno del  dies natalis  del Santo, dopo le consuete messe, alle ore 10,30 dalla casa comunale tutta l’Amministrazione in forma ufficiale con in testa il Sindaco del Comune e da alcuni anni i sindaci della zona nebroidea, continuando una secolare tradizione che prende il nome di “ Senato” , i Giurati nel 600, i Senatori nel 700, e i Sindaci dall’800 in poi (autorità politiche della città) preceduti da mazzieri recanti le Mazze dell’antico Senato Oricense, si recano in chiesa e consegnano in segno di omaggio nelle mani dell’arciprete le chiavi della città. Intanto la chiesa viene invasa di devoti chiamati “Nudi” , perchè sono vestiti con camicia e pantalone bianco, e un fazzoletto piegato a triangolo a mo’ di perizoma, simboleggiando la nudità del Santo, e a piedi scalzi. Solo a loro spetta l’onere e l’onore di portare la vara con l’effigie e le reliquie del Santo Patrono, mentre le donne sono anch’esse vestite di bianco e indossano camice, gonna ,calzettoni e fazzoletto in testa, e precedono e seguono nella processione o questua il Santo. Questa da sempre è stata la candida divisa che segna l’appartenenza alla devota milizia del Glorioso Protettore. Ogni fedele si riconosce nel Santo al quale si chiede “ La Grazia ”, un miracolo; il voto lega il fedele al Santo per tutta la vita. Nelle situazioni di bisogno e difficoltà il fedele invoca il Santo promettendo questo segno penitenziale e devozionale dovendo indossare l’abito nelle feste e camminare a piedi nudi.
A mezzogiorno inizia la lunga processione per le vie della città: l’artistica vara sorretta da 30 nudi esce dal Duomo e dopo la salita di via Casalnuovo (dove un tempo risiedeva la corte Giuratoria) si avvia verso il fiume Calagni dove il Santo viene fatto passare tra le acque gelide del fiume per ricordo di un miracolo avvenuto dopo la terribile alluvione che distrusse il paese nel 1682. Qui l’arciprete canta il Te Deum di ringraziamento e subito dopo inizia la lunga questua. Il Santo viene portato per le vie della parte bassa del paese rientrando soltanto all’imbrunire nella chiesa di San Nicolò dove permane fino all’ottava.
La festa viene replicata la domenica più vicina al 27 gennaio; il significato dell’ottava va individuato nella tradizione storica che riteneva il Santo Bimartire avendo subito due volte il martirio, e quindi le due feste ne ricordano simbolicamente i due momenti.
Nell’ottava continua la questua nella parte alta della città, ed al termine c’è la processione di saluto: le donne vestite di bianco precedono la vara del Santo formando due lunghe file di centinaia di metri dove al centro passa il Clero e il fercolo del Santo; arrivati in piazza Duomo il Santo rientra nella chiesa madre salutando i fedeli con i tradizionali “Giri” attorno alla piazza; Alla fine il Santo viene deposto dalla “vara” e riposto nella sua cappella fino al giorno dopo, lunedì, conclusione dei festeggiamenti, dove nella chiesa madre alle ore 9,00 in punto inizia la funzione del “U Pirdunu”: il Santo viene prelevato dalla sua cappella ed esposto sull’altare; subito dopo la Santa Messa viene benedetto l’olio e aperto lo scrigno d’argento che custodisce le reliquie, viene cambiato il cotone che avvolge le stesse e dopo la processione in chiesa dell’effigie e delle reliquie viene distribuito il cotone idrofilo benedetto ai fedeli nel quale era sta avvolta la teca contenente le reliquie, e subito dopo il bacio delle stesse, il Santo viene conservato nella sua cappella fino alla prossima uscita che avverrà il lunedì di Pasqua, in cui dopo la messa il Santo viene affacciato nel sagrato  della chiesa, e dal balcone dietro il presbiterio per la benedizione alla città e ai campi. Il Patrono infine viene festeggiato un’altra volta nel mese di maggio (la domenica  più vicina al 9 quest’anno 11)  per la festa di primavera: la festa si svolge come l’ottava ma in un sol giorno e in tono minore, non quindi con gli sfarzi e riti di gennaio. Per quanto riguarda le reliquie infine nessun atto ufficiale esiste ne tanto meno si sono fatte ricognizioni. Tradizione e notizie tramandate a memoria d’uomo vogliono che la teca debitamente suggellata con ceralacca dalle autorità ecclesiastiche contenga un capello e una parte della falange del dito mignolo del Glorioso Patrono.

Testo a cura del nostro collaboratore Massimiliano Alessandro

Galleria Fotografica

Processione del 19 e 20 Gennaio
Foto a cura del nostro collaboratore Massimiliano Alessandro

Processione dell’Ottava
Foto a cura di Vincenzo Zappalà

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